Mi è piaciuto da subito

24.10.2016 00:19
Mi è piaciuto da subito baciarti,
da subito ossia dall’adolescenza
quando i baci facevano luce
negli occhi chiusi
perché avveniva appena 
poco dopo il gioco
della mosca cieca
e del nascondino,
anzi tutto avvenne proprio
in mezzo al gioco
e non ricordo di chi fu la mano,
se la tua o la mia, 
che ci prese e ci tirò
dentro un armadio 
e, intorno, tutto il mondo scricchiolava
 
Ma poi perfezionammo 
come i viaggiatori senza meta che vanno
nei romanzi, e andammo
spesso, di nascosto, in uno scantinato,
nelle tenebre ma anche
dentro l’ombre fresche
dei lavatoi sulle terrazze  
 
E, il giorno dopo, 
andando a scuola, la mano sulla bocca
sopra un sorriso ambiguo 
ovvero doppio, solo di noi due,
ci dicevamo: anch’io,
lo stesso male,
ché ci bruciava il frenulo linguale 
 
Da allora
chi ci cerca non ci trova
 
Da subito mi è piaciuto, 
dal primo momento essendo, 
tutti gli altri momenti, secondari
E mi è piaciuto lì, dove eravamo,
segreti, soli in due, spariti, 
fuori dal mondo, ignoti
 
Poi non ci siamo più feriti
sotto la lingua, non abbiamo
più tremato, altri momenti 
hanno prevalso, siamo stati
numerosi, abbiamo partecipato
a cene affollate, non abbiamo
spaccato i piatti in testa a tutti,
togliendoceli di torno
 
Perché? Lo abbiamo fatto?
Sì, lo abbiamo fatto
Sennò cos’erano quei baci,
quella luce, quel bagliore
nucleare sopra il mondo?
 
Sì, mangiavamo poco
e un po’ distratti, 
aspettando i nostri tempi 
sottratti al gioco,
giocati in altro modo
con i baci, avendo le due nostre
bocche da sfamare
 
(Che cosa c’è di pronto?
Il desiderio
Tu l’avevi preparato
E l’avevo
preparato anch’io)
 
Lo faremmo ancora? È rimasta
questa domanda, questo bruciore
 
Lo faremmo, sì? Forse lo faremmo
Ma il tempo del verbo è dubbioso, 
non sembra convinto, questo tempo 
che pone condizioni di resa, a noi 
che davvero sterminammo il mondo
 
E ci fa felici ancora
che da allora
chi ci cerca non ci trova
 
Sì, adesso mangio anch’io
ma non ho perso il piglio
Infatti, sì, prendo, prendo
 
(Sono nella cucina del locale, i piatti mi passano sotto gli occhi, vanno in sala come i nani di Biancaneve al lavoro in miniera, sono paffuti, pieni di salute, torneranno stremati, sbafati e sbaffati;

Mi è piaciuto da subito baciarti,

da subito ossia dall’adolescenza

quando i baci facevano luce

negli occhi chiusi

perché avveniva appena 

poco dopo il gioco

della mosca cieca

e del nascondino,

anzi tutto avvenne proprio

in mezzo al gioco

 

Non ricordiamo di chi fu la mano,

se la tua o la mia, 

che ci prese e ci tirò

dentro un armadio 

e, intorno, tutto il mondo scricchiolava

 

Ma poi perfezionammo 

come i viaggiatori senza meta che vanno

nei romanzi, e andammo

spesso, di nascosto, in uno scantinato,

nelle tenebre, ma anche

dentro l’ombre fresche

dei lavatoi sulle terrazze  

 

E, il giorno dopo, 

andando a scuola, la mano sulla bocca

sopra un sorriso ambiguo 

ovvero doppio, solo di noi due,

ci dicevamo: anch’io,

lo stesso male,

ché ci bruciava il frenulo linguale 

 

Da allora

chi ci cerca non ci trova

 

Da subito mi è piaciuto, 

dal primo momento, essendo

tutti gli altri momenti secondari

E mi è piaciuto lì, dove eravamo,

segreti, soli in due, spariti, 

fuori dal mondo, ignoti

 

Poi non ci siamo più feriti

sotto la lingua, non abbiamo

più tremato, altri momenti 

hanno prevalso, siamo stati

numerosi, abbiamo partecipato

a cene affollate, non abbiamo

spaccato i piatti in testa a tutti,

togliendoceli di torno

 

Perché? Lo abbiamo fatto?

Sì, lo abbiamo fatto

Sennò cos’erano quei baci,

quella luce, quel bagliore

nucleare sopra il mondo?

 

Sì, mangiavamo poco

e un po’ distratti, 

aspettando i nostri tempi 

sottratti al gioco,

giocati in altro modo

con i baci, avendo le due nostre

bocche da sfamare

 

Che cosa c’è di pronto?

Il desiderio

Tu l’avevi preparato

E l’avevo

preparato anch’io

 

Lo faremmo ancora? È rimasta

questa domanda, questo bruciore

 

Lo faremmo, sì? Forse lo faremmo

Ma il tempo del verbo è dubbioso, 

non sembra convinto, questo tempo 

che pone condizioni di resa, a noi 

che davvero sterminammo il mondo

 

E ci fa felici ancora

che da allora

chi ci cerca non ci trova

 

Sì, adesso mangio un poco

E non ho perso il piglio

Infatti, sì, prendo, prendo

 

(Sono nella cucina del locale, i piatti mi passano sotto gli occhi, vanno in sala, ai tavoli, come i nani di Biancaneve al lavoro in miniera, sono paffuti, pieni di salute, torneranno stremati, sbafati e sbaffati. Con due dita, dai floridi piatti che vanno, rubo, prendo un fagiolino, poi un gambero, una cosa che nemmeno so cos’è, un fiore di zucchina, un asparago, una zampetta d’astice, un cavoletto, un bocconcino di carne in umido, un’alice fritta. Succhio una ditata di salsa rosa, poi una di salsa verde cupo e una di salsa verde chiaro, e una di pappetta bruna; poi ficco il dito in una panna, tiro su un ricciolo e lascio lo scavo di una bell’onda naturale con la cresta molto ornamentale, poi mi passo anche la lingua sulle labbra; mi specchio sul concavo e sul convesso di un cucchiaio che m’è rimasto nell’altra mano, pulito, perché non vado tanto appresso alle minestre. Passa, tutto passa, sopra questi piatti tutto passa, passa il tempo cucinato)

con due dita, dai floridi piatti che vanno, rubo, prendo un fagiolino, poi un gambero, una cosa che nemmeno so cos’è, un fiore di zucchina, un asparago, una zampetta d’astice, un cavoletto, un bocconcino di carne in umido, un’alice fritta; succhio una ditata di salsa rosa, poi una di salsa verde cupo e una di salsa verde chiaro, e una di pappetta bruna; poi ficco il dito in una panna, tiro su un ricciolo e lascio lo scavo di una bell’onda naturale con la cresta molto ornamentale, poi mi passo anche la lingua sulle labbra; mi specchio sul concavo e sul convesso di un cucchiaio che m’è rimasto nell’altra mano, pulito, perché non vado tanto appresso alle minestre, passa, tutto passa, sopra questi piatti tutto passa, passa il tempo cucinato)Mi è piaciuto da subito baciarti,
da subito ossia dall’adolescenza
quando i baci facevano luce
negli occhi chiusi
perché avveniva appena 
poco dopo il gioco
della mosca cieca
e del nascondino,
anzi tutto avvenne proprio
in mezzo al gioco
e non ricordo di chi fu la mano,
se la tua o la mia, 
che ci prese e ci tirò
dentro un armadio 
e, intorno, tutto il mondo scricchiolava
 
Ma poi perfezionammo 
come i viaggiatori senza meta che vanno
nei romanzi, e andammo
spesso, di nascosto, in uno scantinato,
nelle tenebre ma anche
dentro l’ombre fresche
dei lavatoi sulle terrazze  
 
E, il giorno dopo, 
andando a scuola, la mano sulla bocca
sopra un sorriso ambiguo 
ovvero doppio, solo di noi due,
ci dicevamo: anch’io,
lo stesso male,
ché ci bruciava il frenulo linguale 
 
Da allora
chi ci cerca non ci trova
 
Da subito mi è piaciuto, 
dal primo momento essendo, 
tutti gli altri momenti, secondari
E mi è piaciuto lì, dove eravamo,
segreti, soli in due, spariti, 
fuori dal mondo, ignoti
 
Poi non ci siamo più feriti
sotto la lingua, non abbiamo
più tremato, altri momenti 
hanno prevalso, siamo stati
numerosi, abbiamo partecipato
a cene affollate, non abbiamo
spaccato i piatti in testa a tutti,
togliendoceli di torno
 
Perché? Lo abbiamo fatto?
Sì, lo abbiamo fatto
Sennò cos’erano quei baci,
quella luce, quel bagliore
nucleare sopra il mondo?
 
Sì, mangiavamo poco
e un po’ distratti, 
aspettando i nostri tempi 
sottratti al gioco,
giocati in altro modo
con i baci, avendo le due nostre
bocche da sfamare
 
(Che cosa c’è di pronto?
Il desiderio
Tu l’avevi preparato
E l’avevo
preparato anch’io)
 
Lo faremmo ancora? È rimasta
questa domanda, questo bruciore
 
Lo faremmo, sì? Forse lo faremmo
Ma il tempo del verbo è dubbioso, 
non sembra convinto, questo tempo 
che pone condizioni di resa, a noi 
che davvero sterminammo il mondo
 
E ci fa felici ancora
che da allora
chi ci cerca non ci trova
 
Sì, adesso mangio anch’io
ma non ho perso il piglio
Infatti, sì, prendo, prendo
 
(Sono nella cucina del locale, i piatti mi passano sotto gli occhi, vanno in sala come i nani di Biancaneve al lavoro in miniera, sono paffuti, pieni di salute, torneranno stremati, sbafati e sbaffati;
con due dita, dai floridi piatti che vanno, rubo, prendo un fagiolino, poi un gambero, una cosa che nemmeno so cos’è, un fiore di zucchina, un asparago, una zampetta d’astice, un cavoletto, un bocconcino di carne in umido, un’alice fritta; succhio una ditata di salsa rosa, poi una di salsa verde cupo e una di salsa verde chiaro, e una di pappetta bruna; poi ficco il dito in una panna, tiro su un ricciolo e lascio lo scavo di una bell’onda naturale con la cresta molto ornamentale, poi mi passo anche la lingua sulle labbra; mi specchio sul concavo e sul convesso di un cucchiaio che m’è rimasto nell’altra mano, pulito, perché non vado tanto appresso alle minestre, passa, tutto passa, sopra questi piatti tutto passa, passa il tempo cucinato)