Le note sono gocce
“Le note sono gocce ossessive,
le ascoltiamo aspettando la fine,
che nella musica – vuoi con guaiti
sguaiati, vuoi con flebili ultimi fiati,
vuoi con le rullate di un crollo –
arriva sempre. La musica promette
la fine della fuga, la fine della goccia,
la fine della perdita (di tempo, anche),
e mantiene la promessa: ha fine.
Abitua a questo: a sopportare, uno;
due: che tutto è bene quello che
finisce presto. La musica isola,
tra tanta gente, i soggetti anelanti
e speranzosi (ossia attratti e atterriti
dalla fuga, questo vezzo dei vivi)
e li compone in tutti i sensi, li suona
e li canta, e gli dà una bella assestata,
li sistema come pubblico, da popolo
che erano. È musica anche la passione
civile, quel vittimismo opportunista
che finisce in canzoncina come
nell’immondizia un’accozzaglia*
di prudenze e avvedutezze assai
solidali e previdenti, di buone intenzioni
armonizzate ossia andate a male.
Io non canto questi pezzi da questua
penosa, questi scoli virtuosi, questi
tiri di catena servile perché non sono
un cantawater*, non soffro di allucinazioni
da consenso, non soffro in generale,
faccio il solista sguaiato che sono.
Se ho un’ambizione? Sì, questa:
cantar male, malissimo, orrendo.”*
* “Accozzaglia: che razza di parola, non usarla” (nota di Vito)
"Cantawater" lo usa come anagramma di cantautore,
un anagramma all’orecchio, secondo la pronuncia: cantauòter
“... scrivo in versi? No, scrivo meno,
elimino la metà destra della pagina.” (nota di Vito)