L’aiuto barman
L’aiuto barman fa una battuta,
una delle sue battute flambé
(come le chiama lui), una fiammata,
una frase dall’alone azzurro, intorno
a un pensiero che vacilla, rosso,
percorso da fremiti gialli.
La frase, fumosa, dirada…
La cliente, alla quale la luminaria
era dedicata, dice:
“Molto profonda, veramente
profonda”. Che è quel che si dice
quando non s’è capito nulla
ma si vuole anche chiudere lì
la questione della comprensione.
Allora mi interessa, comincia
a interessarmi: essere così
superficiali, citando due volte
la profondità in una frase
di quattro parole, mi attrae
(direi: profondamente).
Questa donna è distratta,
distratta in sé, ossia
anche lei è preda, come me,
dell’attrazione, che inizia
dal torpore, provocato dal solleticante
sgretolamento intorno a noi
di ogni frase compiuta, quando noi
decretiamo la nullità d’ogni discorso.
Le parole perdono i sensi, cadono
in noi significando i loro mancamenti.
Seduta sullo sgabello alto, lei scosta
la punta della scarpa dal poggiatoio,
distende la gamba, la sua bella scarpa
non tocca terra, è oltre il bordo
della profondità che lei ha pronunciato.
Credo che si stia sporgendo troppo.
Io, seduto sullo sgabello accanto, sento
quel colpo di vento, quello spostamento
d’aria di un corpo che sta cadendo
ma non sento il tonfo. O è senza
fondo la profondità oppure lei
la conosce bene, sa addomesticarla,
calando in essa come la gamba
nella calza, colmando il vuoto.
trattenendolo, rivelandolo, rendendolo
visibile: la sua gamba è la pienezza
del vuoto. Quanta aria sposta un corpo
di donna che si volta con rapida
imprevedibilità: lei verso me.
Mi guarda, ha sentito benissimo
che non ho detto niente.
Queste cose accadono,
quel colpo d’aria è il superamento
del muro del suono sulla terra,
siamo oltre la franchezza.
Il nostro pensiero è alle spalle,
e noi ce le copriamo, lei le mie,
io le sue. Abbiamo rinunciato
al pensiero, lo sostituiamo
con la reciproca gratitudine
per averlo, lei a me, io a lei, tolto,
il pensiero. Non pensar nulla,
lei di me, io di lei,
è la più grande delle liberazioni.
Mi guarda e basta, io guardo,
e basta, lei. La vita è allenamento
per arrivare a questo equilibrismo.
L’aiuto barman dice, scuotendo lo shaker:
“Profonda è la tristezza, signora”.
Un’altra sua battuta, vivida,
fiammeggiante nonostante
sembri cupa. Non vuole comunicare
una saggezza, vuole bruciarla,
vuole incenerirla. La frase
è resinosa, combustibile. Lui
dà fuoco alla frase. Vedo,
nel buio dello sprofondo, appigli,
arborescenze tiepide e mosse:
gambe accavallate e scavallate.
Da afferrare, da farsi da esse afferrare
anche intorno al collo. Poi vado
a cantare ’Sacro Cuore’, perché
la clientela balli
intorno alla voragine… Zanzà