Estate, ora (ma anni fa)

08.08.2017 11:53
Seduto al bar
come al caffè i poeti…
Anzi,
seduto al caffè
come i poeti al bar…
No, seduto al bar tra i generici 
del cinema soprattutto western a Centocelle
come al Caffè Rosati i poeti in Piazza 
del Popolo, Roma Prati
Ecco che per fare lo spiritoso
ho dimenticato cosa
volevo dire
Cosa volevo dire?
A chi lo chiedo cosa?
Adesso che ci penso
(perché ci penso adesso):
a chi si chiede quello che si scrive?
Chi te lo suggerisce o te lo detta?
No, perché non vorrei davvero credere
che venga da me. Sarebbe impressionante 
se tutte quelle lente moscerie
a parole fossero parole mie
(intendo in generale, parlando
a nome dell’umanità che scrive).
 
L’estate è piena di cosce.
E sono fatti miei queste lussurie.
E i visi? Voglio parlare dei visi?
Non posso, nessuno può.
La descrizione di un viso è già bruttezza,
uno sconcio di parole sopra i visi
che sono bellissimi così, senza parole
sotto gli occhi e il naso a capo,
e una nota in calce che è la bocca,
e l’orecchio che è un’orecchia fatta alla pagina.
Io non li ho mai visti interi i visi scritti,
li ho letti come riflessi in vetri infranti,
con schegge anche saltate, carni perse.
 
Chi mi disturba fino a farmi, come adesso,
scrivere? Chi mi fa fare il verso?
Chi mi detta?
Chi è che mi fa questo?
Che cosa ho fatto, che cosa ho commesso?
 
… lei è passata…
… un esclamativo pendente dall’orecchio…
… però vero perché era un orecchino…
… d’argento, un esclamativo d’argento…
… oscillante, al contrario: nel lobo il puntino…
… è passata… l’orecchino in fin del rigo,
anzi dell’unica parola che ho pensato
e che, da dentro, fuor di me ho dettato:
Bella¡ (¡: questo è l’orecchino esclamativo)… 

Seduto al bar

come al caffè i poeti…

Anzi,

seduto al caffè

come i poeti al bar…

No, seduto al bar tra i generici 

del cinema soprattutto western a Centocelle

come al Caffè Rosati i poeti in Piazza 

del Popolo, Roma Prati

Ecco che per fare lo spiritoso

ho dimenticato cosa

volevo dire

Cosa volevo dire?

A chi lo chiedo cosa?

Adesso che ci penso

(perché ci penso adesso):

a chi si chiede quello che si scrive?

Chi te lo suggerisce o te lo detta?

No, perché non vorrei davvero credere

che venga da me. Sarebbe impressionante 

se tutte quelle lente moscerie

a parole fossero parole mie

(intendo in generale, parlando

a nome dell’umanità che scrive).

 

L’estate è piena di cosce.

E sono fatti miei queste lussurie.

E i visi? Voglio parlare dei visi?

Non posso, nessuno può.

La descrizione di un viso è già bruttezza,

uno sconcio di parole sopra i visi

che sono bellissimi così, senza parole

sotto gli occhi e il naso a capo,

e una nota in calce che è la bocca,

e l’orecchio che è un’orecchia fatta alla pagina.

Io non li ho mai visti interi i visi scritti,

li ho letti come riflessi in vetri infranti,

con schegge anche saltate, carni perse.

 

Chi mi disturba fino a farmi, come adesso,

scrivere? Chi mi fa fare il verso?

Chi mi detta?

Chi è che mi fa questo?

Che cosa ho fatto, che cosa ho commesso?

 

… lei è passata…

… un esclamativo pendente dall’orecchio…

… però vero perché era un orecchino…

… d’argento, un esclamativo d’argento…

… oscillante, al contrario: nel lobo il puntino…

… è passata… l’orecchino in fin del rigo,

anzi dell’unica parola che ho pensato

e che, da dentro, fuor di me ho dettato:

Bella¡ (¡: questo è l’orecchino esclamativo)… 

 

E con una parola che ci scrivo? 

E con una parola che ci scrivo?