Che potevo avere?

15.01.2016 19:49

Che potevo avere? Sui venticinque anni,
e incontrai questa cantante furiosa, più grande
di me in anni e bravura, che si scapigliava cantando
non col cuore ma con tutta la sua carne di bronzo,
un bronzo accanto al fuoco, lucente; insomma,
era di una bellezza insopportabile, intimidiva
prima e dopo, tanto da annientare la tentazione
del vanto, poi non ci siamo, per un paio di decenni
e qualcosa, più visti, finché la rivedo, mi viene 
incontro vestita di nero, un nero volante, leggero,
ho appena finito di cantare, si congratula con me, 
mi prende le mani, le stringe, le solleva fin sotto
il suo mento, le adagia lungo il suo collo
come si fa per esempio con bestiole graziose, 
poi porge la guancia alle mie mani, ha in testa 
un cappello anche nero, delicato e lieve, guardo 
il cappello sotto il quale c'è il suo viso, la testa 
inclinata, stringe le mie mani tra la mascella e la spalla, 
sento ancora guancia sul dorso della mia mano, sento 
la sua clavicola sul dorso dell'altra, la sento 
bianca, ho l'impressione che abbia la veletta, no,
rialza la testa, in tutto quel nero il viso è chiaro,
sulle labbra un colore leggero leggero, un avorio 
ma con sopra il riflesso di un fuoco acceso lontano, 
che non si spegne nemmeno un paio d'ore più tardi, 
lei seduta sul divano, leggera quanto il suo vestito, 
io steso, la testa sulle sue gambe così come lei 
ha voluto, le sue mani intorno alla mia testa,
svuotata come una pentola lavata, asciugata da lei,
e ancora le sue mani la trattengono, distratte, 
affettuose, sfiorando bordi, convessità, guance, manici: 
le mie orecchie, non so quale parte della mia testa
andrebbe sul fuoco, anzi no, nessun fuoco,
c'è torpore come nelle cucine placate, e ogni
rumore viene da fuori e pare un sussurro all'interno,
e non c'è nessuno, e chiunque entrasse sarebbe
un estraneo, nel luogo più avulso del mondo:
una cucina che ha compiuto il lavoro, e le padelle
sono pipistrelli di rame in una grotta, appese,
e se uno entrasse esse volerebbero con un fracasso
di piatti di banda, ecco così, ma nessuno può entrare
ora, e io sono la pentola tra le sue mani che girano
intorno come a rifarmi il disegno del viso,
che è nella valle di tra le sue gambe mentre 
il suo volto è lassù, e la cima sussurra, e quaggiù
silenziosi i miei lineamenti e le sue dita sono
il paesaggio lontano, un paese, la chiesa del naso,
la fronte municipale, paesani e strade bianche
tutt'uno: le dita; e, com'è per i quadri, è escluso
che esista il resto del mondo, e io sono la pentola
tra le sue mani, lo stesso avorio delle labbra 
sull'unghie, sto come la pentola, e questo è un onore,
è un piacere, unico, per me, nella mia vita, lei
che parla calmissima, un po' mi guarda, un po'
guarda avanti a sé, un po' allontana una mano 
dal mio viso per fare quel gesto in ricordo del mondo,
quel dito, l'unghia che sfiora un piccolo prurito teorico
sul suo labbro superiore, sotto il naso, questo segno
di vita trascorsa, poi la mano torna sul mio viso,
e quando sento i polpastrelli sulla bocca li bacio
e lei solleva la mano e li ribacia, i suoi polpastrelli,
senza interrompere nulla, né il suo calmo discorso
né il paesaggio cui torna, sono gesti che si fanno
per i fiori, quando, così, ne spostiamo di poco uno 
in un vaso, così, e non c'è ragione, così noi due
tra noi stiamo come si sta tra fiori, così è, e riserviamo
a noi, per noi, i nostri gesti riservati ai fiori, è così,
e non c'è ragione e se c'è è sovrastante, è sovrastante, 
e se la comprendi non te ne puoi, poi, vantare,
perché no, perché non vuoi, tanto sarebbe 
incomprensibile, come è incomprensibile se cerchi
di dirlo, perfino se riesci, tutto ciò che veramente
accade, e per veramente si intende una volta sola,
perché siamo abituati a comprendere e a dire
e ridire solo ciò che si ripete, ci trattiamo come
esperimenti ossia rispettiamo le leggi, e allora
quando siamo irrispettosi sprofondiamo in profondi
silenzi eversivi, e il meglio della rivolta è nel tacere
quanto disprezzi i tuoi simili per i quali tu lotti. 
Lei un poco somigliava a Nilde Iotti più Marina
Vlady più Luciana Castellina più Senta Berger
(fare l'amore è allucinare gli occhi
con visi in un sol viso mescolati),
tanto per non far nomi ossia il suo nome,
che sia strabenedetta tra le donne per avermi fatto 
l'onore ossia il piacere ossia l'onore ossia il piacere...
ad libitum.. (vado a cantare)