Cantavo e pensavo...

13.03.2016 22:06

Cantavo e pensavo... Cantare e pensare sono per me la stessa cosa, perché quando canto penso, non avendo nient'altro da fare. Cantavo e pensavo alla prima ragazza. Qui è successo un fatto strano: che la prima ragazza non era la prima. Fu come un rimbalzo. I ricordi ricordano, pensai, più di me. Pensavo due volte: alla ragazza e ai ricordi. I ricordi ricordano i ricordi. Più di me. Se sono rapsodico è perché sto cantando: c'è un tempo. C'è per tutto, un tempo. Anche Qohèlet cantava. Qohèlet, l'Ecclesiaste o, tradotto meglio, l'Intrattenitore. Così che Qohèlet significa "come me", a orecchio, in dialetto leggendario. C'è un tempo per tutte le vanità. La prima ragazza non era la prima. Un'altra cosa: la parola 'sottoscala'. Mi sarebbe mai venuta in mente in vita mia? Adesso ho la riposta a questa domanda: sì. Mi è venuta in mente. Che vuol dire venire in mente, la parola? Vuol dire sentirla suonare, suonare bene, e ciò che suona bene è vero, è successo, c'è stato. Sento suonare la parola, anzi meglio, la sento venire a fare giustizia col suo bel suono. Giustizia di che? Giustizia dell'abuso di parole che non ho conosciuto come cose, e con cose intendo tutto: oggetti, atti, persone, visi, animali. Insomma. Insomma, che? Pensavo tre volte: alla ragazza, ai ricordi, alle parole. Le parole non si devono usare. La prima ragazza non era la prima; i ricordi ricordano i ricordi; le parole vere suonano bene. C'è un sottoscala nella mia vita. Come c'è un sottoscala in molti palazzi. Insomma, c'è l'androne, no?, poi la prima rampa a salire, ci siamo?, poi il pianerottolo, poi la seconda rampa a salire al contrario della prima, ci siamo?, sei su?, adesso scendi le scale, ritorna al principio, torna all'androne, sotto la seconda rampa c'è un cuneo d'aria, un cuneo di vuoto, il sottoscala, con da un lato il muro dell'appartamento a piano terra, e dall'altro il muro a sinistra della prima rampa, in quel palazzo era così (a proposito, in sogno, la posta mi arriva sempre in quel palazzo abitato da bambino: apro ogni tanto in sogno la cassetta di legno e ci trovo sorprese postali, sempre piacevoli, anche oggettini, ma tutti che passano dalla fessura delle lettere, il sogno è preciso, non esagera, anche scorze di noci, spaccate dal mio amore con un sasso). 

 

Due muri a triangolo scaleno, i lati del soffitto: le ipotenuse. Il sottoscala era un prisma, un vuoto prismatico. Dentro quel vuoto il ricordo colloca noi, la ragazza e me. Perché fu vero e ci suonò bene. Poi, non era ragazza, eravamo bambini. Il ricordo ricorda. Anche l'elastico ricorda d'essere elastico. E allora? Allora: la fionda. Il prisma è la cocca concava della fionda, io sto lì dentro, e il ricordo mi scaglia all'indietro. Non più con quella ragazza ma con un'altra ragazza, ricordo i capelli. La faccio breve, nemmeno questa era la prima. I ricordi ricordano e l'elastico ricorda se stesso, si tende e si rilascia, altro salto all'indietro. E prima della ragazza coi capelli ce n'è un'altra ancora, con le mani. A noi piaceva impastare noi stessi. La frase è esuberante ma non avevamo mica ancora la ragione. E prima ancora? Sì, prima ancora c'è ancora un prima, sì. Nel futuro c'è un ultimo di tutto. All'indietro no. C'è un tempo vuol dire che ce n'è un altro, di tempo: c'è un tempo ossia c'è un altro tempo. Il tempo è all'indietro, in avanti non è. Ecco dimostrato che il tempo esiste perché non esiste in avanti. Ecco che la canzone sta per finire e io ho tempo, prima che il tempo finisca, di formulare una legge: esiste tutto ciò che potrebbe non esistere, l'essenza è tutta là, nella non esistenza, che confuta se stessa, che si contraddice in essere, perché l'inesistenza ha come vizio la ritrosia, il conveniente ripudio di sé. Così che ciò che è è ciò che è ripudiato, che significa solo respinto all'indietro, nessuno si allarmi. Tra parentesi, questi che ascoltano le canzoni d'amore, sembra che non abbiano mai amato. E chi ascolta le canzoni in generale sembra che non abbia mai vissuto o non sappia che farsene della vita o non abbia nient'altro da fare. A me conviene. Ma io non parlo con chi mi parla di canzoni. Ecco che la canzone sta per finire, il tempo sta per finire, sta per iniziare il futuro ossia l'intervallo, il niente, prima di un altro passato, di un altra canzone, retrograda come solo la canzone sa essere, retriva come un sacrificio umano a favore di una umanità imbottita di significati, che sempre crede d'essere capace di capire ma è soltanto sul punto di scoppiare. E io, ora, non ricordo più ossia non so più cosa non ricordo. Fine. Il pubblico esplode, infatti, col frastuono di un applauso.