Canto, guardo la mia clientela ai tavoli
Canto, guardo la mia clientela ai tavoli… Canto
una canzone che diventa l’alone di una ragazza
sola, di un solitario o di una coppia o di un terzetto…
una canzone che circonda come una cornice
sfumata un tavolo da quattro, da cinque…
Canto… Sono un ritrattista, li so a pennello...
Essi non sanno, non sanno che mi dedico
a loro molto più di quanto credano... e dedico
ossia consacro con rito solenne le fesserie
che canto ai loro attimi di vita, di sorso,
di cin cin, di forchettata, di punta di lingua…
Canto... non sanno che, più della loro
attenzione distratta da chiacchiere
e sorseggi, la mia attenzione corteggia
la loro svagatezza ossia la loro vita, che
mi ascolta, la vedo – un pugno chiuso
sotto il mento del visino, quel visino
della vita – che mi ascolta, la loro piccola vita…
E so tutto, so chi con chi, chi contro chi,
so il pianto, conosco l’euforia lacrimosa,
pungente, risvegliata dal mio stupido canto…
So cosa pensano: una stessa cosa,
una cosa distesa, sulla quale fragili
eccitazioni, spaesate, cercano di unirsi
ai brividi che dovrebbero provocare
(spesso si gode per sentito dire)...
A cosa ambiscono tutti? Lo so: a un leggero
solletico, a un soffio che liberi il pensiero
dal pensiero… Ambiscono a questo:
che la risposta alla domanda "a cosa pensi?",
quella risposta, "a niente", da mai vera diventi
finalmente vera, questa è l'ambizione...
Intanto canto, canto fesserie e, cantando
fesserie, conosco tutte e tutti…
Di tutte e tutti so.